Molto si discute, in queste settimane, del cosiddetto “schwa”. Esso, nel sistema fonetico, identifica una vocale intermedia, il cui suono cioè si colloca precisamente a metà strada tra le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcuna maniera e aprendola lievemente. È in corso una battaglia, se così vogliamo appellarla, per imporre lo schwa nella lingua italiana. Lo scopo di tale battaglia è – si dice – di ordine inclusivo, in nome della lotta contro le discriminazioni. In particolare, lo schwa è stato assunto dalla comunità non-binary come simbolo ufficiale per l’inclusività.
Mi siano consentite due considerazioni soltanto, telegrafiche e volte a mostrare il paradosso di siffatta battaglia. In primis, siamo nell’alveo delle ormai usuali rivoluzioni ortografiche e delle altrettanto collaudate rivolte dell’asterisco delle sinistre fucsia: la new left neoliberale e arcobalenica, avendo abbandonato la lotta della sinistra rossa e comunista per il lavoro e per i diritti sociali, si reinventa metamorficamente ingaggiando una serie di battaglie, dall’asterisco allo schwa, buone essenzialmente per fingere di avere ancora qualche vaga istanza oppositiva e nascondere il proprio osceno adattamento all’asimmetrica civiltà dei mercati.
E, così, le sinistre fucsia e postmoderne vedono discriminazione nell’uso dei pronomi maschili ma mai nello sfruttamento del lavoro e nel precariato, per i quali anzi assai spesso rivelano un certo grado di apprezzamento (“le sfide dei mercati”, “i processi buoni della globalizzazione”, ecc.).
Insomma, quella per lo schwa è la canonica battaglia che – direbbero nella mia Torino – “fa fine e non impegna” e, soprattutto, non mette in discussione il reale rapporto di forza: i padroni no border continuano a gestire sovranamente il lavoro e l’economia, e lasciano alle brigate fucsia dell’arcobaleno le irrisorie lotte per le vocali, gli asterischi e ultimamente lo schwa. Come da tempo è lampante, la sinistra ha di fatto ormai reso superflua la destra stessa, metabolizzandone le medesime istanze neoliberali e rivelandosi a tratti anche più performativa nel seguire pedissequamente il dettato della plutocrazia neoliberale sans frontières.
E tuttavia – così vengo al secondo dei punti enunciati – la lotta per lo schwa non è solo un’arma di distrazione di massa. È anche un elemento coessenziale alla logica di sviluppo della civiltà relativista e merciforme, la quale procede distruggendo ogni identità – compresa quella linguistica – affinché nulla possa più opporre resistenza al nichilismo della forma merce. Un mondo post-identitario è un mondo ormai privo di sovranità culturale, dunque un mondo ormai totalmente disponibile per i processi di illimitata utilizzabilità da parte della volontà di potenza tecnocapitalistica.
Sicché imporre lo schwa, nuova frontiere dell’ortograficamente corretto, non è finalizzato a combattere le discriminazioni e a promuovere l’inclusività, come va ripetendo il logo unico, il “pensiero a una dimensione” evocato da Marcuse. Au contraire, imporre lo schwa è finalizzato precipuamente a distruggere la lingua italiana, ad annientare il patrimonio linguistico della nostra civiltà.
Un popolo senza lingua è un popolo senza nesso vivente con la propria provenienza e con la propria storia, dunque un popolo sradicato e facilmente manipolabile dal nihil della civiltà pantoclasta e tecnomorfa; essa, come sostituisce le chiese con gli hub della finanza, così rimpiazza la lingua di Dante e di Gioberti con una neolingua sterile e impoverita, abitata da schwa, da asterischi e da altre argute trovate ortograficamente corrette.
La lotta per lo schwa si presenta progressista e anticonformista ed è, invero, quanto di più regressivo e conformista vi sia: regressivo, dacché ci fa perdere il nostro rapporto vivente con la nostra provenienza storica, figurando come una sorta di cancel culture applicata alla lingua e non alle statue; conformista, giacché, lungi dall’essere un’istanza realmente contestativa, coincide con ciò che lo spirito dei tempi relativista e nichilista ci chiede. È, in sintesi, una delle tante maniere per distruggere le identità culturali, fortilizio di resistenza al nulla della civiltà tecnomorfa.
L'articolo Schwa, le ragioni per cui ritengo questa battaglia linguistica regressiva e conformista proviene da Il Fatto Quotidiano.